Dal XVI al 1828

– Il Concilio di Trento
Fu inaugurato il 13 dicembre 1545, sospeso nel marzo 1547, dopo poco più di un anno, per il diffondersi a Trento di un morbo contagioso. In questa prima fase furono emanate, tra le altre, le seguenti disposizioni: a) obbligo di residenza per i vescovi e per i parroci; b) commento del Vangelo durante la celebrazione domenicale della Messa.
Il Concilio fu ripreso nel 1551-1552: in questa seconda fase furono emanate importanti disposizioni riguardanti i sacramenti e si insistette sulla necessità che la vita dei sacerdoti fosse esemplare.
Nella terza ed ultima fase (1562-1563) si discusse della erezione dei seminari, dei Sinodi e delle visite pastorali, dei benefici e del divieto di cumularli, dell’esame per conferire una parrocchia, ecc.
Per l’applicazione dei decreti del Concilio, nel decennio successivo alla sua chiusura, furono pubblicati: il Catechismo romano; la nuova professione di fede, l’indice dei libri proibiti. Inoltre, furono riveduti o corretti: il Breviario, il Messale, la Vulgata (la Bibbia tradotta in latino da San Girolamo alla fine del sec. IV).
Il 7 ottobre 1571 nella battaglia di Lepanto i Cristiani riportarono una grande vittoria sui Turchi, per la intercessione della Madonna, in onore della quale il papa (S. Pio V) istituì la festa del Rosario, fissata alla prima domenica di ottobre.
Papa Gregorio XIII (1572-1585) curò la erezione di collegi e seminari; sottopose a revisione il ‘Corpus Iuris Canonici’ e il Martirologio romano. Nel 1582 riformò il calendario, eliminando 10 giorni che s’erano accumulati dalla riforma di Giulio Cesare (stabilì dunque che dal 4 ottobre si passasse quell’anno al 15 ottobre).
Nel 1592, per disposizione del papa la pratica delle Quarantore (che aveva avuto origine verso il 1580 per iniziativa di Antonio Maria Zaccaria, fondatore dei Barnabiti o religiosi di S. Paolo) fu introdotta per turno in tutte le chiese di Roma.
Nel ‘500 assistiamo ad una fioritura di Santi, prima e dopo il Concilio: prima con Ignazio di Loiola e il suo compagno Francesco Saverio; Gaetano da Thiene e Angela Merici (che fonda nel 1535 l’ordine delle Orsoline); dopo, operarono a favore degli infermi e nel campo dell’istruzione: Francesco di Sales, Filippo Neri, Camillo de Lellis, Vincenzo de Paoli.
– I vescovi caleni e teanesi nel Cinquecento
E dopo questo quadro generale, necessariamente sommario, vediamo come le nostre Diocesi vissero quei decenni del concilio e come recepirono i suoi decreti. Nei circa venti anni del concilio di Trento, a Calvi troviamo quattro vescovi: Berengario Guzman che intervenne al Concilio nel 1547; Belisario Gambara che morì poco dopo aver preso possesso; Gaspare del Fosso che partecipò al concilio nel 1562, in qualità però di arcivescovo di Reggio; Giulio di Magnano che intervenne all’adunanza dell’11 agosto 1562. Sul vescovo Gaspare del Fosso è opportuno aggiungere che era nato a Fosso presso Cosenza, appartenne all’ordine dei Minimi di San Francesco di Paola; dotto e pio, divenne gran teologo e predicatore; fu anche generale del suo ordine. Amministratore esemplare, nel 1555 formò una platea di tutti i beni e le rendite della mensa vescovile e del Capitolo; morì a 92 anni, nel 1592.
Di Giulio da Magnano si ricorda la istituzione nella cattedrale di una Confraternita sotto il nome del Corpo di Cristo; morì e fu sepolto a Teano nella chiesa di S. Francesco.
Da Teano, partecipò al concilio tridentino e vi ebbe una parte importante, il vescovo domenicano Giovanni Nichesola, dotto teologo, che resse la diocesi per un decennio dal 1557 al 1566. È interessante notare che a Teano i decreti conciliari furono subito recepiti: almeno uno dei più importanti quello riguardante la erezione del seminario. Infatti fu proprio il successore del Nichesola, il card. Arcangelo Bianco, domenicano, darne l’avvio.
Di sicuro però si sa che nel 1576, (al tempo cioè del successore Giovan Paolo Marincola che resse la diocesi dal 1576 al 1588), il vescovo ordinò che tutti i beneficiati mandassero in curia il conto esatto delle rendite dei benefici da loro posseduti perché si potesse applicare la giusta porzione a favore del Seminario ‘nuper erecto’, che già aveva 12 alunni.
Il ‘nuper’ ha fatto pensare che il Seminario fosse stato già eretto dal Bianco. Ancora a proposito del seminario, il Marincola neI 1580 comprò una casa presso la chiesa di S. Salvatore (o Monte dei Morti), intestandola ad un maestro appunto del Seminario, assegnando ad esso anche la rendita della chiesa parrocchiale della stessa chiesa di San Salvatore.
Altre opere di questo dotto e operoso vescovo furono: il livellamento del cortile dell’episcopio (che doveva essere molto più basso), la costruzione del portale.
Ma la fine del suo episcopato fu tormentata: è incerto se il Marincola abbia liberamente rinunciato alla Diocesi o sia stato deposto dal Papa per gravi delitti.
Ma la vita del seminario fu breve, perché col successore Vincenzo Serafino, che poco o nulla si curò del bene spirituale della sua diocesi, nella quale non risiedeva (furono 27 anni di non governo fino al 1615), il seminario subito decadde.
La diocesi di Calvi non recepì subito il discorso conciliare sulla necessità di erigere un Seminario; forse per due motivi: la scarsità delle rendite della mensa vescovile e la vicinanza del seminario di Capua eretto fin dal 1568.
Ma, se il problema del seminario era rinviato, altri decreti del Tridentino venivano attuati.
Al tempo del vescovo Ascanio Marchesini (1575-1580) l’arcipretura di Pignataro da beneficio semplice si trasformava in parrocchia con cura d’anime; sicché il beneficiato che fino ad allora se n’era stato comodamente a casa propria a godersi delle rendite, ora dovette risiedere sul posto.
Dopo il breve episcopato di Scipione Bozzuto, ha inizio quello del grande Fabio Maranta che durò quasi 40 anni (1582-1619).
– Nel Seicento
Abbiamo visto come al grande fervore, suscitato dal Concilio nella diocesi di Teano, che aveva dato subito i primi buoni frutti con la erezione del seminano, fosse seguito tra la fine del ‘500 e gli inizi del ‘600 un periodo di profonda crisi e di stasi sotto l’episcopato del Serafino. Nella diocesi di Calvi, invece, si verifica una situazione inversa. Ad un periodo di tiepidezza sotto i vescovi Paolo de Bacio Terracina, Marchesini e Bozzuto, segue il lungo e glorioso episcopato di Mons. Maranta. Fabio Maranta si impone alla nostra attenzione per la sua forte personalità di grande organizzatore e amministratore. Dottore nel diritto civile ed ecclesiastico, appena entrato in diocesi nel maggio 1582, trovando la cattedrale servita da appena un solo canonico, ne scelse altri sette, oltre al primicerio.
Restaurò la cattedrale a proprie spese; fece costruire di nuovo la sacrestia e un magnifico campanile.
Subito indisse la santa visita, per conoscere le pecorelle affidate alle sue cure; santa visita che portò a termine nell’aprile del 1583 di cui ancora si conservano in archivio gli atti in bellissima grafia.
Nel 1588 formò una nuova Platea, dopo quella di Del Fosso (1555); in essa si riportano, dettagliatamente descritti, tutti i beni della mensa vescovile e del capitolo, di tutte le chiese e benefici della diocesi. Nello stesso anno, il 20 aprile celebrò il Sinodo.
Per la sua dottrina nella scienza legale, la sua opera fu richiesta da vari vescovi e arcivescovi della Campania: Cesare Costa, arcivescovo di Capua, gli affidò l’incarico di visitare spesso le chiese della sua diocesi. Intervenne alla consacrazione della chiesa del Gesù Grande; il 7 giugno 1608 pose la prima pietra della cappella del Tesoro di S. Gennaro a Napoli.
A Teano, il Serafino cessava di vivere nel 1615, lasciando di sé un ricordo non certo gradito: il parroco della cattedrale, nel registrarne la morte, esprimeva un giudizio molto severo sul suo conto. Gli successe un patrizio senese, Angelo de Ciaia, nipote e vicario del Bellarmino a Capua (1602-1605): nulla da segnalare nel suo breve episcopato (1615-1616).
Poi si avverte una ripresa col successore: lo spagnolo Michele Saragos (fino al 1623); significativo il fatto che egli impose al rettore della chiesa di San Salvatore l’obbligo di tenere la cura delle anime e di risiedere in parrocchia; poiché il rettore non ubbidì, lo depose e indisse il concorso.
Sotto il successore Ovidio Lupari (fino al 1626) sono da segnalare due episodi: una donazione di beni da parte del canonico Morrone per la riapertura del seminario e il ritrovamento delle reliquie di Santa Reparata durante lo scavo fatto nella cattedrale per il trasferimento dell’altare maggiore dal centro della chiesa sotto l’arco maggiore.
Fino al 1641 la diocesi fu governata dall’oriundo spagnolo Giovanni de Guevara che ebbe fama di letterato e mecenate; tra le sue opere: la costruzione del salone grande dell’episcopio e il portico della cattedrale. Al tempo del vescovo Muzio de Rosis (1642-53) Teano subì l’assalto del bandito Giuseppe Colessa, detto Papone: l’assalto fu respinto e Papone finì la sua triste esistenza a piazza Mercato a Napoli, dove gli fu tagliata la testa.
I Teanesi attribuirono la vittoria all’intercessione di San Paride, in onore del quale promisero di celebrare solennemente ogni anno il giorno anniversario.
Intanto a Calvi, dopo il Maranta, per pochi anni governò Gregorio de Bubalo; a questi seguì un altro lungo episcopato; quello di Gennaro Filomarino fino al 1650.
Gennaro era fratello dell’Arcivescovo di Napoli, il Card. Ascanio che tanta parte ebbe nelle vicende della rivoluzione di Masaniello (1647-48). Accadde allora che, in odio al Card. Fiomarino, per falsi sospetti nutriti contro di lui da Diomede Carafa, duca di Maddaloni, che voleva vendicare la morte del fratello Giuseppe, i soldati del duca danneggiarono seriamente la cattedrale e il palazzo vescovile, inoltre bruciarono interamente l’archivio. Si salvarono solo la Platea e la Santa Visita del Maranta perché si trovavano allora per caso nelle mani del cancelliere della Curia. In seguito a tali eventi, il Filomarino trasferì definitivamente l’abitazione dei vescovi in luogo più sicuro scegliendo a tale scopo Pignataro, ampliando una piccola abitazione ivi comprata col danaro delle pene della Curia vescovile.
Abbiamo detto definitivamente perché già dal 1628 circa il Vescovo considerava sua residenza abituale la casetta di Pignataro.
Il 1656 fu un anno fatidico per il Mezzogiorno d’italia: infatti il Regno di Napoli fu duramente colpito da una epidemia di peste, la più terribile, che ebbe conseguenze devastanti sulla popolazione che nel complesso risultò quasi dimezzata. Mons. Paolo Squillante, vescovo di Teano dal 1654 al 1660, dimostrò in quell’occasione grande carità, tanto che il De Monaco lo definisce il San Carlo di Teano. La parte inferiore della città si dovette murare perché, interamente spopolata, era diventata covo di ladri, e alcuni conventi, come quello di Monte Lucno, furono chiusi perché tutti i monaci vi erano deceduti.
Calvi era retta allora da Francesco Maria Falcucci; dalla sua relazione ad limina del 1659 veniamo a sapere che il vescovo si prodigò per aiutare le persone colpite dal terribile morbo, non solo quelle della diocesi ma anche tutte quelle che passavano per l’Appia e la Via Latina, predisponendo a tal fine un certo numero di sacerdoti. A conclusione della sua relazione il Falcucci faceva cenno anche al problema del seminario: ‘Seminarii erectionem nimia Dioecesis egestas exclusit; in unoquoque tamen Casalium ad juventutem in litteris instruendam, Praeceptorem sive grammaticae professorem elegi’. (La troppa povertà della Diocesi impedì l’erezione del seminario; tuttavia in ciascuno dei Casali scelsi un precettore o professore di grammatica per istruire nelle lettere la gioventù).
Nella seconda metà del ‘600, troviamo a Calvi, oltre al Falcucci, Vincenzo Carafa per circa un ventennio fino al 1679, e Vincenzo De Silva per altri venti anni, fino al 1702.
A Teano, oltre allo Squillante, troviamo Ottavio Boldoni e Nicola Giberti, entrambi per un ventennio ciascuno.
La nota dominante dell’episcopato del Carafa fu la sua predilezione per Camigliano, dove fondò il monastero di Santa Elisabetta. Con i Pignataresi ebbe qualche screzio perché i maestri della cappella del Rosario pretendevano dal vescovo la pigione di una piccola casa datagli in fitto; il Carafa perciò abbandonò la residenza di Pignataro, recandosi a dimorare per molti anni a Camigliano.
L’ultimo ventennio del ‘600 è dominato dalla grande personalità del De Silva: riparò i danni arrecati alla cattedrale, all’episcopio e all’archivio di Calvi durante la rivolta di Masaniello; comprò una casa a Pignataro per dare una decente abitazione a sé e alla curia.
Nel 1680 indisse il Sinodo diocesano, i cui atti furono pubblicati a Roma nello stesso anno; sempre nello stesso anno diede l’incarico a don Giuseppe Cerbone di Afragola, teologo ed esaminatore sinodale della diocesi calena, di scrivere la ‘Vita e passione delli gloriosi martiri Santo Casto, vescovo di Calvi, e San Cassio, vescovo di Sinuessa’.
Il suo pensiero fu rivolto anche alla fondazione del seminario: fin dal 1682 aveva imposto una tassa su tutti i beni ecclesiastici ‘pro substentatione duodecim alumnorum’, un ‘ius Magistri grammaticae, alterius Cantus, et Rectoris, cum uno tantum famulo, eorumque stipendiis annualibus’ (per il sostentamento di dodici alunni, di un maestro di grammatica, di un altro di canto, e del Rettore, con un inserviente soltanto, e per i loro annui stipendi).
Nella diocesi si sentiva la necessità del seminario perché ‘per l’ignoranza grande non si trovano soggetti, né per essere Parochi, né sacerdoti, né meno per chierici’.
Nonostante la buona volontà, il De Silva non riuscì a realizzare il suo disegno.
Passando a Teano, troviamo Ottavio Boldoni che si segnalò per aver scritto ben tre volumi di epigrafi per tutte le occasioni, anche le più futili. Donò la sua biblioteca al seminario (questa poi passò al convento di Sant’Antonio e fu bruciata dai Francesi nel 1799).
Molto attivo sul piano pastorale fu Mons. Giberti che, appena entrato in diocesi svolse una accurata e severa visita (1681), tenne anche due sinodi, i cui atti furono stampati e adottati da altri vescovi.
Il suo programma si articolava nei seguenti punti: sradicare i cattivi costumi; riformare il clero; accrescere il culto divino.
Fu di vita illibata, irreprensibile; modello per gli altri vescovi. Liberalissimo verso i poveri e i bisognosi. Istituì una congregazione per l’insegnamento del catechismo; riparò e ornò la cattedrale (rovinata da terremoti e fulmini); ampliò i locali del seminario e accrebbe il numero degli alunni.
Il ‘600 si chiudeva nelle nostre diocesi con un bilancio positivo: a Calvi ormai il discorso sul seminario era avviato a soluzione; a Teano Mons. Giberti s’imponeva all’attenzione di tutti per la sua azione riformatrice.
– Nel Settecento
I primi decenni del’ 700 non fecero registrare grandi progressi nelle nostre Diocesi: a Calvi dal 1702 al 1714 fu vescovo G.B. Caracciolo del Sole che, di salute malferma, accettò riluttante la cattedra; si assentava spesso dalla sua sede; pur tuttavia ebbe cura della cattedrale e delle chiese. Dal 1714 al 1718 la sede rimase vacante.
Nel 1719 fu nominato Giovanni Carafa che morì nello stesso anno, senza prendere possesso.
A Teano dalla fine del’ 600 al 1717 fu vescovo Mons. Domenico Pacifico, che ottenne di risiedere per sei mesi in Aversa, dove era nato e dove era stato vicario generale della diocesi per trent’anni.
Nel periodo di assenza dalla cattedra di Teano non percepì le rendite; queste venivano impiegate per i restauri della cattedrale: fu fatto il soffitto a cassettoni, con il quadro al centro; il nuovo organo e l’altare maggiore. Restaurò la chiesa di San Parillo (al bivio della attuale stazione ferroviaria) dove si celebrava la fiera la terza domenica di maggio (la chiesa fu distrutta nel 1943). Fu largo con i poveri che spesso visitava a domicilio. Ma la sua presenza dimezzata produsse un rilassamento della disciplina del clero e alcuni abusi.
A questi inconvenienti cercò di ovviare il successore Giuseppe Martino del Pozzo (1718-1723) che riprese il programma del Giberti.
Ampliò il seminario, costruì il Cappellone di San Paride, dove volle essere sepolto. Istituì il sodalizio della pietà per l’accompagnamento dei defunti e – cosa ammirevole – spesso vi partecipava, vestito di sacco.
A Calvi intanto, dopo un ventennio di stasi o di vacanza, nell’aprile 1721 fa il suo ingresso il nuovo vescovo Mons. Filippo Positano. Il suo episcopato durò poco più di dieci anni, cessando egli di vivere nel dicembre 1732, ma fu ricco di eventi importanti.
Le sue opere principali furono: la erezione del seminario; la fondazione di un convento; l’istituzione di un Monte Frumentario.
Col Positano giungevano finalmente a compimento i sogni e gli sforzi dei suoi predecessori, affinché anche Calvi avesse il suo seminario. Questo fu infatti il primo pensiero del Positano. Il seminario fu realizzato e fu benedetto dallo stesso papa Benedetto XIII che tornava da Benevento a Roma il 16 maggio 1727; nei giorni successivi il Papa fu accolto anche a Teano. Con la erezione del seminario veniva risolto il problema della preparazione culturale del clero.
C’era però bisogno soprattutto di una migliore vita interiore: a tale scopo il santo vescovo pensò di fondare sulla collina di Pignataro un convento che fosse richiamo per il clero e i fedeli alla vita dello spirito; dell’opera però il vescovo riuscì a vedere solo le fondamenta, perché fu sopraggiunto dalla morte; la memoria del Positano è legata ad un’altra opera: l’istituzione del Monte Frumentario, importantissima in quei tempi sul piano economico e sociale, specie per i contadini; con tale ‘monte’ il vescovo si propose di combattere lo strozzinaggio a cui erano sottoposti i poveri contadini che avessero bisogno di sementi per il grano. Dalla morte del Positano fino a poco oltre la metà del secolo si susseguirono altri tre vescovi: Gennaro Danza; Giuseppe Barone che pubblicò un Compendio della dottrina cristiana, volto alla istruzione sia del popolo, sia dello stesso clero; Agnello Fraggianni che trasferì la parrocchia di Pignataro dall’antica chiesa di S. Giorgio a quella cinquecentesca di Santa Maria della misericordia; qui aggiunse all’Arciprete undici coadiutori.
Passando ora a considerare i vescovi di Teano, ricordiamo il napoletano Domenico Antonio Cirillo, che governò la diocesi per un ventennio (1724-45); continuò l’opera del predecessore, completando il cappellone di San Paride, dove volle essere sepolto. Dopo il breve episcopato del monaco cassinese Angelo Longo di Nola, dal 1749 al 1755 fu vescovo Domenico Giordano, degno di ricordo in particolare per l’accurata visita che svolse in diocesi nel 1753. Per ogni chiesa e cappella raccolse notizie orali, ricercò documenti negli archivi e ne fece estrarre copia autentica; i documenti, autentici o in copia, li fece legare in un grosso volume, detto Appendice della Santa Visita (esso fu bruciato dai tedeschi nel 1943); di ogni chiesa tracciò la storia dalle origini fino ai suoi tempi. Collaboratore principale nella compilazione della santa visita fu il can. G. B. de Quattro. Nel 1755 il Giordano fu trasferito a Roma col titolo di Arcivescovo di Nicomedia e morì nel 1781.
Nella seconda metà del ‘700 la diocesi di Calvi è retta per circa 30 anni da Mons. G. M. Capece Zurlo: questi nel 1782 veniva nominato cardinale arcivescovo di Napoli. Si apriva un periodo di vacanza che durò dieci anni: nel 1792 veniva eletto Mons. Andrea de Lucia.
Intanto a Teano, dopo il trasferimento del Giordano, si succedono quattro vescovi fino alla fine del secolo: Aniello Broia, Giovan Giacomo Onorati, Filippo Aprile, Raffaele Pasca; tutti si presero cura della cattedrale. Dal 1798 al 1808 fu vescovo di Teano un camiglianese: Nicola Vecchi, uomo dotto che si prese cura del seminario e scrisse varie opere tra cui due catechismi. Dopo dieci anni di sede vacante, si giunse all’unione delle diocesi nel 1818.
A questo punto dobbiamo fare un passo indietro per soffermarci a delineare la figura e l’opera di Mons. Zurlo.
Quanto s’è detto per Mons. Broja di Teano deve ripetersi per Zurlo. Infatti, questi dedicò le sue cure maggiori proprio al Seminario, ampliandolo e facendovi fiorire le virtù, le scienze, la pietà. Egli stesso ne scrisse le regole e non mancò di visitarlo ogni settimana.
Fece costruire un altro seminario che potesse accogliere i seminaristi nel periodo estivo. Ci fu a tal proposito una lite tra Pignataresi e Caleni sulla scelta del sito in cui doveva sorgere il seminario estivo; la spuntarono i Caleni e il seminario fu costruito tra Visciano e Zuni. (Verso il 1809, a causa dei danni subiti per la guerra, il Seminario presso la Casilina, venne abbandonato.)
Come detto sopra, dopo un decennio di sede vacante, la cattedra calena è occupata da Andrea De Lucia, nativo di Mugnano del Cardinale (Nola), vicario generale del grande Gervasio, vescovo di Gallipoli, poi arcivescovo di Capua. Sua principale cura fu il seminario che nel 1799 subì gravi danni da parte dei Francesi, insieme con la cattedrale.
Al seminario il De Lucia legò i suoi beni con testamento del 1823 (circa 7000 ducati), oltre ad una ricca biblioteca. Lasciò il suo anello di brillanti al braccio di San Casto. Molto spese in soccorso dei poveri. Ricoprì vari incarichi: fece parte della commissione per le cause criminali degli ecclesiastici; fu Consigliere della Giunta per gli affari ecclesiastici; fu amministratore delle diocesi di Sessa e Carinola; fu membro della Consulta di Stato nel 1815. Ma l’evento più notevole accaduto durante il suo episcopato fu l’unione ‘aeque principaliter’ delle diocesi di Calvi e Teano, avvenuta nel 1818, in seguito al concordato tra la Santa Sede ed Regno di Napoli. L’unione avvenne con la bolla ‘De utiliore dominicae’ di Pio VII il 28 giugno del 1818.
Il 24 settembre Mons. De Lucia prende possesso della diocesi di Teano tramite il suo vicario Manieri. Verso la fine della sua vita, fu toccato da leggera apoplessia; gli venne meno anche la favella. Allora ebbe come coadiutore Mons. Pezzella, che gli successe nel 1828; l’anno successivo, il 28 febbraio, mons. De Lucia moriva a Napoli all’età di 87 anni.